Le parole che usiamo

Sono molto sensibile alle parole, non solo alla scelta ma anche all’intenzione e al moto con cui vengono pronunciate.

Questa attenzione riguarda sia me che le formalizzo ma anche quelle che ricevo.

Ultimamente mi capita spesso di essere immerso in fiumi di lamenti di chi mi circonda (e ovviamente mi fa riflettere sul perché mi stia trovando in questi contesti) e mi trovo ad osservare non tanto l’azione del lamento in se, ma l’uso delle parole, la scelta, l’intento, la direzione e il sottotesto con cui vengono pronunciate.

Stiamo vivendo un periodo in cui la parola è la forma di comunicazione, la parola è ciò che esprime il nostro sentire, i nostri desideri, obiettivi, emozioni.

Attraverso la parola facciamo contratti, decreti e con la parola rendiamo “vero” ciò che altrimenti rimarrebbe in un piano apparentemente no reale.

Per cui, il dialogo e il linguaggio è lo strumento attualmente in voga per la comunicazione e la conoscenza.

Spesso, nel momento esatto in cui solo pronunciamo qualcosa, una frase o un pensiero, ci sentiamo alleggeriti, come se avessimo dato corpo e materia all’energia che fino a poco prima girovagava nella nostra mente.

Senza aprire quindi uno spazio di quanto la parola crei la realtà e con che leggi, mi soffermerei sulla reazione che scaturisce dopo aver parlato ad alta voce per accogliere e saggiare l’importanza di ciò che formuliamo verbalmente.

Possiamo vederlo come reazione nell’altro che ci ascolta, ma anche su noi stessi. Spesso mi ritrovo a parlare da solo ad alta voce ed è rasserenante dare forma a tutti i pensieri che abitano nella mia mente.
Osserviamo quanto ciò che diciamo influisce direttamente sulle nostre emozioni. Spesso mi scopro di edulcorare la pillola per non sentire tutta la carica emotiva che scaturirebbe nell’altro alle mie parole. Altre volte pronuncio frasi con così tanta forza ed energia che lo specchio del mio compagno o di chi mi ascolta mi restituisce una forte presa di coscienza. Altre volte, come dicevo, parlare da solo ad alta voce è come se rimettesse in ordine, desse appunto una sostanza tangibile.

Partendo da queste considerazioni, mi vorrei soffermare su due scelte che ho analizzato in un seminario di costellazioni con un partecipante. Le parole che si ripetevano in un circolo vizioso erano “colpa” e “disgrazia”. Dopo varie volte che sentivo l’eco di queste parole tuonare come invocazioni, ho sentito l’esigenza di chiarire quanto fosse importante la cura e la scelta di ciò che diciamo:

Colpa o responsabilità?

Definire colpa qualcosa che abbiamo compiuto o subito, porta subito in campo l’energia di un giudice, di un giudizio. Di una morale inconscia che fa pendere la bilancia in un senso o in un altro. Rimanendo su un uso comune della parola per descrivere avvenimenti, la colpa fa pendere appunta il peso delle azioni esclusivamente sulle spalle di qualcuno. A prescindere dalla qualità delle azioni fatte.
Nel momento in cui uso “responsabilità” sento internamente un equilibrio emergere a chiarire la situazione. Sicuramente ci sarà qualcuno che ha compiuto atti o azioni qualitativamente non elevati, ma l’altro che riceveva quelle azioni, dove era? Quanto aveva delegato l’altro nel rapporto? Quanto responsabilizzava l’altro nel rispetto del rapporto alla pari? Proiettava la figura del padre? Si sentiva un bambino? Cercava il soddisfacimento dei propri bisogni attraverso l’altro?

Usare consciamente la parola responsabilità annulla quel giudice di cui abbiamo parlato, e anche in un contesto difficile, in cui le emozioni e le azioni hanno una intensità elevata, ci permette di assaporare quella centratura che tutte le pratiche e strumenti di evoluzione ricercano per osservare la dinamica sistemica delle nostre e altrui azioni.
Il principio della responsabilità è molto ben manifesto quando con le costellazioni familiari riequilibriamo un rapporto, soprattutto alla pari, in cui ci rendiamo conto che non è possibile lasciare all’altro tutta la “colpa” di un avvenimento, ma è naturale riprenderci la nostra metà di responsabilità, proprio per una bilancia interiore che se in equilibrio eleva il nostro incedere.

Opportunità o disgrazia?

Usare la parola “disgrazia” è molto legata al concetto sopra di colpa. Con disgrazia è come se delegassimo completamente ciò che si è abbattuto su di noi, come se non ci riguardasse, come se ci sopraffacesse. In un cammino di profondo risveglio del piano spirituale di ognuno, appoggiarsi alla “disgrazia” delega e giudica ciò che riceviamo. Ci rende impossibilitati a reagire.

Io preferisco “opportunità”. So che sostituire disgrazia con opportunità in ciò che ci accade di tremendamente impattante richiede una forza d’animo e fede esemplari.

Anche io in ciò che ho prima giudicato come disgrazie, col passare del tempo ho sentito quanto fossero invece delle opportunità.
Gli esempi che porto spesso nei miei seminari è la mia nascita senza una mano o il tumore al testicolo.
Ci sono state molte fasi di diversi giudizi su questi fatti, inizialmente avevano la connotazione di disgrazie, poi sono arrivato a pensare che in fondo non ero un vero disabile perché senza una mano comunque ti è andata bene e il tumore al testicolo non è un “vero” tumore.

L’attività della mente è veramente affascinante. Nel momento in cui ho lasciato cadere questi giudizi, ho accolto le opportunità che soggiacevano nascoste in questi episodi della mia vita e ho iniziato a curare e guarire tutto ciò che emergeva nell’elaborare l’assenza di una mano o un nodo profondo nel mio maschile.

Ripeto, sono affascinato dall’uso delle parole. La parola è per me una formula magica, in incantesimo vero e proprio, una magia che accade in ogni istante della mia vita.

Preferisco che questi incantesimi siano di potenziamento e cura, di evoluzione, di comprensione.

Non giudico quando escono lamenti, vibrazioni basse e rabbiose. Tutto scorre e tutto ha un suo senso, ma il mio intento, la mia direzione, è di amare ciò che dico così come amo la mia vita, il mio compagno, i miei amici.

Le parole sono una cura, resta in ascolto del loro impatto.

Buona giornata,
Kailash Giacomo Vissani

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