L’educazione, le circostanze, l’ambiente portano tutte a sostenere la nostra continua e perenne espansione e manifestazione. Una rincorsa ad affermarsi istante dopo istante.
Fare di più, sempre di più. Fare meglio e ancora di più. Fare sempre e ottenere risultati lodevoli, ammirevoli e invidiabili.
Spesso, vedere la vita altrui piena di risultati encomiabili, di traguardi raggiunti di percorsi completati o obiettivi superati ci allontana dalla nostra personale, unica e diversa modalità di vivere e partecipare al fare condiviso.
Quello che manca nella nostra educazione, nel nostro volerci bene, nel nostro amarci e rispettarci, è lo stare. Il riposo. La ricarica fisica ed energetica.
Spesso ci ritroviamo ad essere adulti e non sapere di poter accogliere un momento di pausa nella nostra vita senza sentirci in colpa.
Un senso di colpa che sfibra, che strappa, che spinge, tira e sfinisce. Un senso di colpa che ci fa muovere anche quando vorremmo fermarci.
Che non ci fa apprezzare la pace perché il confronto con i nostri amici o colleghi è immediato e deludente.
Perché imbattersi con tutta l’educazione ricevuta ci fa scontrare con i nostri genitori, i nostri antenati, la nostra famiglia, la nostra lealtà familiare che stride con il nostro desiderio di tagliare il cordone ombelicale e vivere la nostra vita, con i nostri tempi, cicli e modalità.
Siamo realmente pronti e pronte a troncare il legame familiare carico di aspettative, ruoli, educazioni, opinioni, relazioni, storie? Siamo in grado di assumerci la responsabilità totale della nostra vita, coltivando il sentimento di gratitudine per il dono della vita ma affrancandoci dalla nostra famiglia?
Siamo all’altezza dell’energia del riposo, della ricarica e dell’introspezione?
Perché proprio questo accade quando lasciamo spazio a questa fase e interrompiamo il fare compulsivo a cui stiamo stati educati.
Nel riposo, nello stacco dal movimento verso l’esterno, nasce l’introspezione, l’ascolto, la preghiera, la ricezione di nuove informazioni, la trasformazione, la chiusura di un ciclo, la preparazione per una nuova manifestazione.
Solo con il concedersi questa fase, è possibile continuare il gioco della vita, in cui ognuno continua a giocare secondo il proprio ritmo, seguendo i suoi cicli. A volte si incontrano con gli altri o solo un altro, altre volte e quasi sempre si sta nella solitudine creativa e rigenerativa.
E’ un lavoro di pulizia delle proprie credenze, schemi, ruoli che non ci appartengono, una doccia che lava via quotidianamente le idee che introiettiamo nel nostro cuore, non solo nella nostra mente, ma che sono lontane dal nostro essere.
Quello che posso fare ogni giorno è guardarmi allo specchio, percepire il mio corpo e chiedermi:
“Come stai oggi? Sei pronto a vivere la tua vita ed andare per la tua strada?”
Kailash Giacomo Vissani
Foto di Aaron Burden su Unsplash